Descrizione
Se domani non rispondo alle telefonate, mamma
Se non ti dico che vado a cena
Se domani, mammina, non compare il taxi
Può essere che sia avvolta nelle lenzuola di un albergo, per strada, o in una borsa nera. Forse sono in una valigia, o mi sono persa sulla spiaggia…
Il 25 novembre, Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, non è una data come le altre, ma simboleggia una promessa, quella di non restare indifferenti di fronte a una piaga che lacera il tessuto sociale.
La violenza di genere non è, purtroppo, un fenomeno isolato, ma una realtà spaventosamente diffusa, il fallimento morale della nostra società.
Il Ministero della Salute ha evidenziato che 1 donna su 3 subisce violenza e in Italia il 31,5% delle donne ha subito, nel corso della propria vita, un qualche forma di violenza, fisica o sessuale.
Ma dietro ogni dato statistico c’è un’anima lacerata che ci costringe ad ascoltare una straziante premonizione “Se domani non rispondo al telefono, mamma”; un addio sussurrato che ci costringe a sentire sulla pelle, l’angoscia di chi sta per svanire.
Queste non sono solo parole, ma sono un testamento di amore e terrore di chi si sente già inghiottita dal buio e ci lascia l’immagine cruda della sua scomparsa “Forse sono in una valigia, o mi sono persa sulla spiaggia” – ma sono anche l’atto di accusa contro una cultura che è complice nel silenzio. La poesia ci rivela una crudele beffa “Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato abbastanza, che erano i miei vestiti”. La violenza psicologica, seme di ogni abuso, lavora proprio nell’isolare e nel far dubitare la vittima.
La poesia di Cristina Torres Caceres, con la sua lucidità, ci svela l’essenza stessa della violenza, non come atto finale, ma come prigione invisibile costruita giorno dopo giorno dalla paura e dal controllo. Queste parole sono il testamento di chi, nel silenzio della propria angoscia, viveva già l’assenza, la solitudine.
Ma nel dolore più profondo, la poesia ci consegna nel finale un mandato di giustizia, un imperativo etico: “Se domani sono io…distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima”.
Non possiamo più tollerare che il lutto sia accompagnato dalla velenosa cultura della colpa della vittima ed è qui che inizia la nostra parte.
Dobbiamo alzare un muro invalicabile di solidarietà e cura, perché la giustizia non è solo compito dei tribunali, ma è la responsabilità di ogni cittadino di essere un testimone attivo.
È rompere il muro dell’omertà nel vicinato, nel luogo di lavoro, in famiglia, trasmettendo il messaggio che la colpa non è mai della vittima, ma del carnefice.
Non basta la commemorazione di un giorno, non basta il dolore se non diventa azione, perché il silenzio è complicità.
Lottiamo affinchè le donne di oggi e di domani possano vivere senza paura alcuna e che l’eco di questo lutto diventi la voce di una nuova generazione che ha giurato a sé stessa di non commettere gli stessi sbagli.
Lottiamo affinchè quel “voglio essere l’ultima” diventi una promessa.
“Se domani sono io…distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima”.
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Ultimo aggiornamento: 20 novembre 2025, 11:32